DANIMARCA - UNA GITA ALLE FAROE
--- (Rivista Touring Luglio/Agosto 2014) ---
Diciotto isole, 1100 chilometri di costa, meno di 50mila abitanti e due milioni di uccelli. Oggi si vola senza scalo anche dall’Italia, eppure le isole tra Scozia ed Islanda rimangono ancora un arcipelago per pochi intenditori desiderosi di prendersi una pausa dal mondo.
Gabbiani, sule, pulcinelle, e le onnipresenti beccacce di mare. Da millenni gli abitanti delle isole Faroe non avevano visto che queste creature volare sulle loro scogliere a picco sul mare del Nord. Chissà che cosa pensarono quando un uccello molto più grosso, i l giorno di Ferragosto del 1924, planò dolcemente nel fiordo di Tórshavn. Un uccello che portava un uomo, poi! Doveva essere davvero l'epifania di un mito nordico, anche perché l'uomo parlava una lingua strana, mai sentita prima. Antonio Locatelli, diceva di chiamarsi. Magni Arge ci racconta la storia del primo aereo atterrato alle Faroe mentre (è il giugno 2013) stiamo brindando sul volo inaugurale Malpensa-Sorvagur, il primo a collegare l’Italia all'arcipelago. «Stiamo facendo la storia, proprio come Locatelli!» esclama il presidente di Atlantic Airways, la compagnia aerea faroese nata nel 1987- «Mio nonno ci raccontava spesso di questo esploratore italiano che stava tentando la traversata atlantica. Oggi siamo noi i nuovi esploratori!». Retorica a parte, è vero che in novant'anni le Faroe - una manciata di isole tra la Scozia e l’Islanda, neppure 50mila abitanti e 72mila pecore - ne hanno fatta di strada quanto a rapporti con i l mondo esterno. Oggi i faroesi possono volare senza scalo non solo verso la Danimarca, il Paese da cui sono più o meno dipendenti, ma anche verso Italia, Spagna, Gran Bretagna, Norvegia; e i turisti, viceversa. Eppure, sbarcando sulle isole si ha la sensazione di arrivare in un piccolo universo in cui pochi hanno messo piede. Sarà perché le Faroe sono uno di quei luoghi dove la bellezza è sottile, discreta, inadatta alle masse ed alla cartolina facile. Lo capiamo subito, non appena percorriamo i primi chilometri di strade in bilico tra terra e oceano: bisogna avere pazienza. Pazienza che il cielo si apra, che un raggio di sole riesca a squarciare le nuvole portate dal vento del Nord, che i monti si liberino dal loro manto grigio, la nebbia salga dai fiordi, le prospettive si amplino. Pazienza che succeda qualcosa. Perché non appena ci si meraviglia del panorama straordinario che si coglie dal villaggetto di Bour - un arco di roccia nel mare, la spiaggia nera, i ranuncoli tra le case - ecco che tutto scompare così com'era apparso. E allora, nell'attesa della prossima luce, non rimane che concentrarsi su altro. Sul verde, per esempio. Sembra che non ci sia altro colore che il verde, tutto è coperto di verde, eppure non c'è un albero spontaneo alle Faroe, non resisterebbe al clima, gli unici sono nel parco della capitale e in qualche giardino. E l'erba a ricoprire ogni cosa, le valli, i monti, le scogliere, persino le case, sui cui tetti crescono fiori e pascolano pecore. Buon isolante, l'erba. A noi fa tanto rustico. E tanto nord. Camminiamo in vista della cascata di Gasadalur, facendo arrabbiare le beccacce di mare. Grida impazzite di genitori disperati: ci siamo avvicinati troppo alle uova deposte nell'erba. Dicono che non ci sia volatile più testardo nello scacciare l’avversario. Potrebbe essere una buona metafora per descrivere i faroesi. Legati alla terra da cui dipendono, ma nel contempo orgogliosi della loro indipendenza. Fieri della loro lingua e delle loro tradizioni - molto più vicine all’Islanda, per cultura, lingua e tradizioni, che alla Danimarca, di cui sono una regione dal 1948, ma non così tanto da voler rimanere da soli. Amanti dell'idea di Europa ma comunque non così desiderosi di avvicinarsi al continente. Eppure il benessere isolano dipende dall'esportazione del pesce. Sgombri, salmoni, merluzzi che se ne vanno nei quattro angoli del mondo. Questo è sempre stato un popolo di pescatori, non bisogna farsi ingannare dalle pecore. Sorge spontaneo un sorriso, anche perché in effetti spuntano agnelli e montoni in ogni dove e sembrerebbe che tutta la ricchezza faroese dipenda da loro. Invece sono quelle gabbie circolari nel fiordo a essere più produttive: i salmoni ci sguazzano, rinvigoriti dal l'acqua fredda e nutriente. Poco lontano, la cascata è stupenda, si getta nelle onde precipitando lungo un muro di roccia nera. Anche il cielo è quasi nero, ma è ancora più bello. Da Vagar, l'isola dell'aeroporto, spostandosi verso est, il paesaggio è un fiordo continuo, un saliscendi di vette e di golfi, di insenature e falesie. Le montagne spuntano dal mare grigio, morbide, mai troppo aspre, sembrano grandi scivoli verdi, perfetti per il bob o lo slittino di un gigante bambino. Ponti, dighe e tunnel collegano tutte le isole settentrionali: nessuno si deve sentire (troppo) solo. I tunnel, poi, sono spesso lunghissimi, scavati nella roccia e sotto il mare. A volte sono così stretti che passa una macchina sola, l'altra deve aspettare. Ma tanto il traffico non è mai pressante, al massimo c'è qualche pecora in attesa. Le guide mostrano la chiesa e il campo di calcio di ogni singolo villaggio, perché anche il più minuscolo paesino ha la sua chiesa e il suo campo di calcio. Va bene le chiesette, ma perché far notare i campi sportivi? Si comprende che dev'essere una specie di orgoglio nazionale, poter giocare a pallone anche qui e ospitare le grandi nazionali d'Europa. A Gjógv e a Vioareidi si aprono panorami da fine del mondo, le onde sferzano le scogliere come in un dipinto di Turner, mentre il vento quasi ci trascina via. Lo stesso vento che anima la capitale Tórshavn, dove ci si rifugia in ristoranti uno più buono dell'altro (qualcuno pensava di mangiar male, alle Faroe? È un tripudio di chilometro zero, di cucina sofisticata, di sushi nordico: da leccarsi i baffi). Eppure, sotto la pioggia, nella tempesta, metà città sta ballando all'aperto con un bicchiere di birra in mano. Qui l'anno è scandito da una continua organizzazione di festival musicali, si fa musica davanti al mare, dentro a una fabbrica di birra, sui prati, nelle scuole. Bisogna pur far passare i l tempo: soprattutto da settembre in poi, quando da queste parti non arriva più nessuno. Trasferendosi a Mykines, che è un'isolina tutta a ovest dove si arriva soltanto in battello o in elicottero, ci si rende conto che se le Faroe sono già quasi fuori dal mondo, qui lo è ancora di più: e non solo perché puoi avere la fortuna di arrivare, ma se il meteo non concede, chissà quando ripartirai. A Mykines si respira aria di frontiera. Quasi di sfida. Una manciata di case colorate, tetti d'erba, la chiesetta nel mezzo, proprio come li disegnerebbe un bambino. Tra i ciuffi d'erba che crescono sulle scogliere altissime, centinaia di migliaia di uccelli marini: i pulcinella di mare, con i loro becchi fantastici, e le sule, che hanno scelto il capo più a ovest, oltre il faro, ultimo avamposto di civiltà prima dell'ignoto. Il vero spirito del Grande Nord.
DA SAPERE
DOCUMENTI: Carta d'identità
FUSO ORARIO: un'ora in meno rispetto all'Italia
VALUTA: corona faroese (equiparata alla corona danese: ma in pratica si paga tutto con la carta di credito).
MEZZI DI TRASPORTO: Dal 28 giugno al 16 agosto 2014 Atlantic Airways (www.atlantic.fo) collega settimanalmente Milano Malpensa con le isole Faroe: quattro ore di volo. Altrimenti, voli con scalo a Copenaghen con Sas (www.flysas.com). --- Necessario il noleggio dì un'automobile: molte isole a nord sono collegate da ponti e tunnel, quelle a sud si raggiungono con piccoli traghetti.