ISOLE EGADI: SOLE, MARE E NATURA SELVAGGIA
--- (Qui Touring Giugno 2008) ---
Marettimo e Favignana sono ancora oggi un mondo lontano, quasi ancestrale. Dove però si respira tutta l’atmosfera del Mediterraneo più autentico.
Il volo delle procellarie, considerato di cattivo auspicio in un luogo di 300 anime intriso di superstizione, è un segno premonitore: sull'isola ci sarà burrasca. Onde minacciose corrono sotto nuvoloni scuri e un trattore si sta dando da fare al porto vecchio per tirare in secca le barche. Anche la cucina del ristorante Pirata ribolle, ma per un altro motivo. Si sta cuocendo una pasta alle sarde che dovrebbe tirare su il morale a chi aveva deciso di visitare le meravigliose grotte dell'isola, anfratti costieri dove i riflessi dell'acqua cambiano ogni ora come i capricci degli dei. Qui, fino agli anni Trenta, si riproducevano le ultime foche monache; oggi l'area è tutelata come riserva marina delle Egadi. Intanto il vento entra con un muggito lungo corso Vittorio Emanuele, scuotendo le buganvillee aggrappate alle case bianche, piccole e squadrate, con le persiane azzurre e i balconcini in ferro battuto. Fatica a restare in piedi persino Pino, il macellaio che riesce a trasportare in bicicletta, dal porto alla sua bottega, pesantissimi quarti di bue. Già il porto. Approdarvi è ancora un'impresa. I bassi fondali e la vetusta banchina costringono le barche a complicatissime manovre, soprattutto quando soffia lo scirocco, e questo rende l'isolamento di Marettimo (che può durare diversi giorni), ancora più lungo. Se sia un bene o un male resta opinabile. La cosa certa è che l'isola, staccatasi dalla Sicilia 600mila anni fa, è uno dei pochi luoghi del Mediterraneo ad aver conservato inalterata la propria identità culturale. E anche il paesaggio, aspro e montuoso, è quello ancestrale: una formidabile barriera naturale che ha impedito la cementificazione delle Dolomiti delle Egadi. Ancora oggi, chi fa trekking nella natura selvaggia dell'isola può incontrare mufloni, cinghiali, conigli selvatici, l'uccello delle tempeste, la rarissima aquila del Bonelli e poi berte, falchi pellegrini, gheppi, persino gru e cicogne di passaggio durante le loro migrazioni. Arrampicandosi tra i pini d'Aleppo e la macchia mediterranea, si può arrivare ai 686 metri del monte Falcone (il più alto dell'isola) e in località Case Romane dove, oltre ai resti di un edificio del I° secolo d.C., c'è una chiesetta, probabilmente normanna, del XII secolo. Da qui il sentiero diventa un filo sottile che procede in bilico sul baratro, tra cielo e mare, con la vista che s'allunga all'orizzonte, fino a Trapani ed alla Sicilia. Un buon concerto d'insetti e un rassicurante vento caldo saranno gli unici compagni di chi, raggiunta la cresta del sentiero, si appresterà poi a scendere lungo la vertiginosa mulattiera che porta al castello di punta Troia, spettacolare postazione difensiva spagnola, annidata su un promontorio a 116 metri d'altitudine. Qui, in un'ammuffita cisterna senza finestre né acqua, trasformata in carcere nel 1795, furono imprigionati alcuni patrioti affiliati alla Carboneria, tra cui il generale Guglielmo Pepe. Intanto la burrasca è vicina. Grandi onde spumeggianti ringhiano contro croci e statue del cimitero in riva al mare. Arrivano a bagnare persino le vecchie lapidi che commemorano chi morì in giovanissima età, all'inizio del Novecento, a causa della terribile spagnola. Nel vicoletto di Clemente il verduraio, invece, se la prendono tutti comoda. Un tipo ripassa la vernice sulle persiane; un arzillo ottantenne su di giri, mostra una foto degli anni Quaranta dove lo si vede suonare la batteria nel complessino dell'isola; poco più avanti, due tranquilli pescatori riparano le reti davanti all'uscio di casa. Devono aver letto su un vecchio numero del Giornale delle Egadi della pesca miracolosa dei tempi d'oro, quando intorno all'isola nuotavano così tanti pesci che quasi saltavano sulle barche da soli, pronti per essere venduti ai mercati ittici di Trapani e Marsala. Non c'è abitante di Marettimo che non abbia almeno una volta sognato di essere Gaspare Liotti e Vincenzo Spadaro, i due fortunati pescatori che il 26 aprile 1870 fecero una pesca di liceiole (ricciole) così abbondante da incassare 350 onze, 14mila lire d'oro dell'epoca. A questo proposito, allo scalo vecchio, murata alla base dell'altare votivo innalzato a S. Francesco di Paola, c'è una logora epigrafe a ricordo "di sì mai verificata pesca". Intanto, mentre i giorni passano e la burrasca lascia il posto a splendide giornate di sole, ci si rende presto conto che all'inizio del XXI secolo Marettimo è ancora una terra privilegiata e sperduta dove ci si può sentire lupi di mare sopraffatti dall'ozio. Qui, dove la vita segue ancora lo scorrere delle stagioni, dove la luna piena dice ai pescatori di non gettare le reti, l'unica mondanità consiste nell'assistere a una partita a carte tra gli anziani del paese, ospitata nel Museo del mare. Ricavato in un vecchio deposito del pesce salato, questo piccolo universo di attrezzi da pesca e di foto dei tempi duri dell'emigrazione in America, viene trasferito in una nuova sede al porto vecchio grazie al lavoro degli amici dell'Associazione culturale di Marettimo. L'approdo a Favignana invece, l'isola più grande delle Egadi, è facile. Per esplorarla si possono noleggiare bici o moto e percorrere le strade dell'isola in mezzo a panorami sempre mutevoli. Si può arrivare fino a monte S. Caterina, su cui è arroccato un forte normanno del XII secolo, ammirare il tramonto al faro di punta Sottile e visitare il Giardino delle meraviglie creato dal paziente e amorevole lavoro di Gabriella Campo (un parco di 35mila metri quadrati ricavato da cave dismesse che erano diventate discariche mentre oggi vantano splendide fioriture e piante rigogliose). Oppure si possono trascorrere giornate di sole su spiagge paradisiache: cala Azzurra, insenatura sabbiosa davanti a un mare polinesiano, il vicino, incantevole lido Burrone oppure cala Rotonda e cala Grande, all'estremità occidentale dell'isola. Ma lo spettacolo più bello è contemplare il panorama da cala Rossa, placida insenatura blu che brilla contro le gigantesche cave tufacee a gradoni, a ricordo del tempo non lontano in cui l'estrazione del tufo era una delle principali attività dell'isola. È qui che ebbe luogo la celebre battaglia delle Egadi; era il 241 a.C, uno dei più cruciali scontri navali del mondo antico, tra la flotta cartaginese e quella romana. L'altra grande attrazione era la mattanza, oggi ridotta a spettacolo per turisti. La si può immaginare nei dipinti di Giò Mattò, nella sua casa studio al Villaggio turistico 4 Rose. Da anni il pittore dipinge quelle epiche battaglie in mezzo al mare: l'agonia dei tonni nella camera della morte, le grida del rais, gli sforzi sovrumani dei tonnaroti che, intonando i canti ritmati del “cialòme”, riuscivano ad aver ragione di tonni da 400 chili. La sua vecchia anima oramai è morta. Eppure, guardando i quadri di Giò, immaginando l'agonia di quei bestioni che si dibattono per ore prima di cedere, viene voglia di fare la stessa domanda che un tempo i figli dei tonnaroti rivolgevano ai loro padri: "Papà, hai mai visto un tonno piangere?".