PORDENONE: LA BELLA RISVEGLIATA
--- (Qui Touring Marzo 2007) ---
Con un passato da Cenerentola ed il complesso del brutto anatroccolo, la città industriale friulana si è messa un vestito nuovo. E punta sulla cultura, anche per unire le sue cento e più nazionalità. Bella è bella, Pordenone, ma chi lo sa? Così come chi sa, per esempio, che il cappuccino l'ha inventato un frate (sembrerebbe ovvio) originario di queste parti; o che la più antica centrale idroelettrica del Triveneto, la maggiore fabbrica di pianoforti al mondo e un ruolo da protagonista nella rivoluzione industriale d'inizio Ottocento (che le ha fruttato l'appellativo di Manchester d'Italia) sono primati di questo lembo di Nordest friulano d'ascendenza veneta, condannato dalla propria ritrosia a un understatement non di maniera e perennemente afflitto dal complesso del parente povero anche dopo aver raggiunto il benessere. Tanto che, stanco di essere guardato dall'alto in basso, ha deciso che bastava a se stesso. Si è sempre bastata, Pordenone: anche nei momenti più cupi di una storia di miseria contadina e operaia, facendo affidamento solo sulle forze tirate allo spasimo e sulla disperazione come molla per il riscatto. Si è conquistata i suoi primati tenendo la schiena curva sulla fatica e alzando poco lo sguardo; anche sulla bellezza, la propria, di cui fino a ieri sembrava quasi non rendersi conto. Figurarsi mostrarla agli altri. Come il contadino che, con i primi soldi superflui, arredava il salotto (in realtà un tinello, di sofà neanche l'ombra) ma non lo usava mai e lo mostrava ai visitatori di riguardo con parsimonia, preferendo continuare a vivere attorno al foghèr o alla stufa economica. Il risultato è che questa città non è mai campata di turismo; bella, colta, vivace, piacevole, attenta alle esigenze dei cittadini (non solo i propri) e spesso all'avanguardia rispetto al resto del Paese, è stata da questo tranquillamente ignorata. Pordenone si è affacciata alla cronaca come la città della Zanussi, delle caserme e del movimento di rivendicazione dei diritti delle lucciole (un riconoscimento, nell'ordine, al peso industriale, alla posizione defilata e di confine e alle solide tradizioni sociali). I più anziani ricorderanno anche la leonessa di Pordenone, Paola Bolognani, imbattibile concorrente di “Lascia o raddoppia?” negli anni Cinquanta. Poco altro. Adesso che la Regione Friuli Venezia Giulia ha affidato a Josep Ejarque (il guru catalano del marketing turistico che ha "creato" le olimpiadi di Barcellona) il compito di attirare i visitatori in questo territorio del nordest, si spera che qualcuno dei viaggiatori d'affari, che annualmente si contano in media per 40mila presenze (e 100mila pernottamenti), si guardi intorno una volta uscito dai cancelli delle fabbriche: magari con in mano una guida turistica della città. Di belle cose da vedere ne avrebbe parecchie, a cominciare da quell’impagabile corso Vittorio Emanuele II che sinuoso e ondulatorio attraversa il centro storico; più che un cuore è un'arteria, a ribadire che qui non si sta fermi a contemplare o a perdersi in chiacchiere in piazza, ma si è sempre in movimento. E’ una quinta stupefacente, mezzo chilometro di portici ininterrotti in una successione di archi a sesto acuto e ribassati, affreschi e mattoni, negozi di lusso e librerie, droghieri e fruttivendoli, bifore medievali ed oculi barocchi (con qualche tapparella, ma poche). Ed in fondo il Palazzo comunale con le torricine, l'orologio astronomico e i mori a battere le ore e fare il verso alla Serenissima. Accanto, il Museo civico di palazzo Ricchieri con i suoi tesori, di fianco il duomo di S. Marco con gli affreschi (del pittore eponimo, Antonio de' Sacchis detto il Pordenone) e il campanile del duecento da far invidia a Venezia (anche lui). Per tacere dei dintorni, da Sacile a Spilimbergo, da Sesto al Reghena a San Vito al Tagliamento. Poi, siccome di soli monumenti non vive neanche il turista, giova ricordare che Pordenone ha uno dei più alti livelli di verde pubblico pro-capite del nostro Paese; magnifici parchi solcati dalle acque che hanno fatto la ricchezza della città, a partire da quel Noncello che le ha dato il nome (Portus Naonis, porto sul Noncello) e non pochi grattacapi, con le sue periodiche esondazioni. E poi c'è la cultura, che la città ha costruito partendo quasi in sordina decenni fa, con il sostegno anche dei suoi lungimiranti istituti di credito (e della Camera di commercio; poco dell'industria, che pure l'ha fatta ricca). Con il teatro Verdi nuovo di zecca (il terzo, stesso nome e stesso luogo, nella storia della città); con le iniziative del Centro culturale intitolato ad Antonio Zanussi (le mostre, i convegni, l'università della terza età e soprattutto la vivace attività dell'Irse, l'Istituto regionale di studi europei, che da più di trent’anni fa formazione guardando oltre i confini nazionali). Ed ancora la trentennale attività di Cinemazero, con il Festival del cinema muto famoso a livello mondiale. Ma questa è anche la città di Pordenonelegge, appuntamento autunnale con i libri, e le sue 100mila presenze ad edizione; e di Dedica, l'incontro con scrittori contemporanei. E sempre questa città discreta e defilata è stata, fra gli anni Settanta e Ottanta, teatro di quel formidabile movimento giovanile musicale noto come “Great Complotto”, dalla cui costola è nata una band famosa in tutt'Italia, i Prozac+. Oggi Pordenone, passata con caparbia determinazione dalla povertà contadina alla ricchezza industriale, al consolidato benessere post-post-industriale, che l'ha portata dai cinquemila abitanti della fine dell'Ottocento ai 17mila del primo dopoguerra e ai 50mila del secondo (più o meno la popolazione odierna), sopravvissuta agli ordinari scempi edilizi comuni a tutto il Paese, costituisce, con la propria metamorfosi da città di emigranti a città di immigrati, un'emblematica case history valida per l'Italia tutta. Con il 12% di extracomunitari (la percentuale più alta per un capoluogo di provincia) e 104 nazionalità rappresentate, la città, si pone come obiettivo prioritario l'integrazione. Sicuramente più facile qui che altrove, grazie alla positiva congiuntura economica, comunque non scontata, ma comunque ci vorrà tempo per abituarsi a convivere; un continuo dialogo scaturito dal tavolo interreligioso avviato dal Comune con le guide spirituali delle varie comunità, indica i punti di frizione: la casa, non ghettizzata in pochi luoghi della città; i minori, soprattutto quelli che arrivano per i ricongiungimenti alla famiglia, che occorre aiutare a inserirsi, a sentirsi protagonisti, prima di tutto attraverso la scuola (dove costituiscono il 30% della popolazione scolastica e che contribuiscono a fare di Pordenone la città più giovane della regione). All'integrazione la città crede; una scommessa per il futuro, prossimo e remoto, per una città che non ha mai smesso di andare a caccia di sfide e di reinventarsi.